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Carmen
D'Auria è nata a Castellammare di Stabia (NAPOLI) nel 1975.
Laureata in discipline
decorative presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli nel 2001, si
interessa di fotografia, incisione e di tecniche tradizionali come la
cartapesta.
Vive e lavora a
Castellammare.
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"Nelle sue opere
la coscienza sopisce, come stordita dal tumultuoso evolversi
di un movimento cui la china riesce a conferire una
connotazione "tellurica", facendo emergere quanto di più
oscuro l'uomo relega nell'abisso dell'inconscio, e riuscendo
ad animare un palcoscenico su cui domina, adesso, la
terrifica forza visionaria di una surreale messinscena, su
cui il sipario si alza quando le palpebre si abbassano."
Vincenzo Verde
"Una sorta di
telecamera puntata verso l'interno, ispeziona, senza sosta e
senza logica apparente, quei recessi dell'"Es" che vengono
riproposti, attraverso simboli e surrealistiche
graficizzazioni di immagini, disvelanti verità nascoste e
misteri sopiti ed inquietanti, e che preludono alla
vivisezione dell'artista, organizzata in proprio e
masochisticamente auspicata.
La ridda dei segni crea armonie e ritmi compositivi che in
breve tempo comprendono ed includono nella trama/ragnatela
il lettore delle opere: non ci si può sottrarre all'intrigo
ed alla suggestione.
Una sorta di ipnosi governa il gesto della mano e la
percezione visiva del segno.."
Giampiero
Linardi
"Ritaglia e
costruisce le immagini, selezionandole secondo un ritmo
d'interiori evocazioni e suggestioni, spesso essa stessa
sedotta dall'incalzare delle sue curiosità, e consentanea a
riprodurre tracce e indizi d'ogni possibile avventura
fantastica. All'interno di ognuna di esse si muove divertita
grazia, ma anche con l'adusata e innocente scanzonatezza di
un canto privo di ironia, ma debordante di una festosa
carica di passionalità e di femminile estroversa fragilità e
astuzia, e con una accentuata accondiscendenza per la figura
umana; di cui seleziona i tratti, evidenziandone alcuni in
ritmica corrispondenza metrica; ne frantuma le possibilità
gestuali, moltiplicandole all'infinto; ne deforma la regola
dei rapporti, in un bisogno profondo di mascherare, di
alludere, di intrigare o ingannare lo spettatore."
Michele A.
Pizzella |